(I pensieri, per fortuna, non sempre sono profondi, ed è bello scrivere anche di sciocchezze.
Pure questo è un racconto del 2010, apparso originariamente all'inizio di quest'anno nell'antologia degli ex Alumni della Scuola per Interpreti e Traduttori di Trieste http://issuu.com/sslmit30/docs/sslmit30.)
Schegge
Traduzione versus
Intepretazione, alias Piemonti contro Bortolotti
<<… sì, in effetti è abbastanza idillico!>> commenta
Bortolotti.
<<Ignorante!>> bercia Piemonti. <<Si dice “idilliaco”.>>
Il tono è duro, non ammette repliche.
C’è chi ride, chi fa finta di niente, chi butta acqua sul fuoco.
Bortolotti ci rimane male, sale in biblioteca e controlla la voce sul
Battaglia.
<<”Idillico” e “idilliaco” sono sinonimi, stronzo!>> dice a
Piemonti non appena lo rivede. <<Sono andato a controllare.>>
<<Ma certo>> risponde Piemonti, serafico. <<Solo un
interprete ignorante come te poteva andare a controllare.>>
Scambio tra Ghiga e Valeria ai
tempi di via della Tesa
<<Come hai osato aprire il mio regalo di San Valentino?>> mi
lamento.
<<Dai, non fare così. Mi sentivo tanto sola.>> Valeria fa
la faccia desolata. <<E poi ho mangiato solo un cioccolatino, via. Te ne
rimangono altri ventinove…>>
(Esempio di come rigirare la frittata e restituire l’accusa di furto e
indiscrezione con quella di egoismo e implicita avidità.)
Ghiga e Bamba in via Hermet
<<No, no, Bamba, come hai potuto?!!??>> Di rientro
dall’università, vedo che sta mangiucchiando il sotto del mio adorato costume
da bagno della Perla, quello verde pisello con la fascia, e sono inconsolabile.
<<Non ti potevi mangiare la solita espadrilla del cavolo?>>
Poi taccio perché nell’angolo vedo un pezzo (uno soltanto) di suola di
corda.
Appunto.
David, ultima fiamma
hermetiana di XXX
<<E non solo è carino>> conclude XXX gesticolando,
<<ma è anche figlio di un ambasciatore! E tiene la Divina Commedia su un
leggio in cucina!>>
L’annuncio trabocca di entusiasmo e punti esclamativi.
Ghiga e Lella arricciano il naso. <<Sembra un po’ una posa,
no?>> commenta la seconda.
<<In effetti>> ammette XXX che, pur avendo un debole per i
maschietti, tutto è fuorché scema, <<non avrei detto che sapesse nemmeno
leggere. Comunque, sta venendo qui, ve lo presento.>>
In quella suona il campanello.
DRINNN!!!!!
XXX corre ad aprire. Io e Lella dietro. Bamba sbuca da camera mia, con
le orecchie ore mezzogiorno.
David si affaccia in via Hermet e inquadra Bamba. <<Non morde,
vero?>> chiede con coraggio leonino.
<<No>> assicuro io. <<E’ il cane più buono del mondo,
non morde né abbaia mai, vieni.>>
David entra.
Bamba emette un ringhio furioso, e gli si forma addirittura la cresta
sul dorso, come quando avvista il più odioso dei cani.
Lella mi guarda. <<Che cos’erano?>> borbotta. <<Le
ultime parole famose?>>
Io afferro Bamba per il collare proprio mentre si slancia sul dantesco
David. <<Ehi, mica si possono prevedere antipatie e simpatie, no?>>
ribatto sulla difensiva.
David si è intanto rintanato in un angolo del soggiorno, e credo
proprio che la cotta di XXX sia definitivamente passata.
Landa e Ghiga
<<E’ un ragazzo fantastico>> conferma Landa. <<Carino
e con un ottimo carattere.>>
<<In effetti non posso darti torto>> ammetto io.
<<Praticamente è perfetto. Se non fosse per…>>
Drizzo le orecchie. <<Che cosa?>>
<<Be’, non è bello parlarne.>> Fa la faccia lunga, da
pellicano, come quando muore dalla voglia di dirmi qualcosa ma necessita di un
piccolo incoraggiamento.
<<No?>> Immagino qualcosa di losco e peccaminoso.
<<Però, se proprio insisti…>>
<<Naturale che insisto! Non sto più nella camicetta.>>
<<I piedi>> sussurra allora Landa, tremante. E chiude gli
occhi.
<<Perché? Che hanno?>> Che siano troppo lunghi?
<<Puzzano!>>
<<Beh, un pochino è fisiologico, dopo una lunga giornata…>>
<<Altro che pochino. Ti si crepa la faccia! E già di
mattina!>>
Allargo le braccia. <<Allora non c’è “carino” che tenga!>>
Landa è sconfitta. <<No.>>
Ghiga e un’amica, trovatesi
per studiare Esercitazioni Pratiche d’Inglese
MIAOARRUAHIAAHIA!!!!!!!!!!!!!!
<<Diavolo, che casino, ma li senti quei gatti là fuori?>>
Indico la finestra sul cortile. <<Di nuovo in amore, bisogna buttare
dell’acqua!>>
<<Ma che gatti e gatti. Quella è la XXX che si fa ripassare dal
nuovo fidanzato.>>
Stupore, incredulità e dubbio. <<Dici?>>
Il suono non è umano.
MIAOARRUAHIAAHIA!!!!!!!!!!!!!!
<<No, scema, è lei che lo “dice” a te…>>
Ghiga e Alessandra Chiesa
davanti all’Aula Magna
<<Figo, quello.>>
<<Sì. Fa traduzione. E’ un feticista.>>
<<In che senso?>>
<<Adora le donne coi piedi piccoli.>>
Mi guardo le mie fette numero quaranta. <<Allora dovevo
conoscerlo quando avevo sette anni.>>
Ghiga e una compagna di corso,
appena piantata da XXX
<<Dai, di nuovo>> dico io. Siamo sedute in biblioteca.
<<Io dico una parola in inglese e tu me la traduci in italiano.>>
<<Okay.>>
<<Wicker.>>
<<Vimini.>>
<<Velvet>>
<<Velluto.>>
<<Willow.>>
<<Salice.>>
<<Wisteria.>>
<<Glicine.>>
In quella entra XXX con la sua nuova fiamma, e si siede dietro di noi.
<<Worm>> riprendo io.
<<XXX!>>
<<…>>
Ghiga ai fornelli in via
Hermet e Marco Savella
<<Che odorino!>> esclama Marco, buona forchetta. <<Che
cosa stai preparando?>>
<<Niente.>> Rimesto furiosamente. <<E’ un piatto
fantasia.>>
Il nasone di Marco si allunga sulla padella. <<Che ci hai
messo?>>
Faccio l’elenco. <<Patate, wurstel a fettine, cipolla e salamino.
E’ il nostro pranzetto. Ti fermi anche tu?>>
<<Perché no?>>
Marco si unisce a me, Lella e Pazzelli.
<<Buono questo piatto!>> fa.
In effetti si lascia mangiare.<<Poppelburgher!>> sentenzia subito dopo. <<Lo
chiameremo così!>>
E Poppelburgher fu il nome con cui passò alla storia quell’incredibile
intruglio che, a onor del vero e di Savella, uno dei pochi autentici interpreti
che io abbia mai incontrato nella vita, fu più volte ripetuto.
Elementi clinici, Melato e la
studentessa XXX
Melato conclude la lezione dicendo: <<…e comunque è buona norma,
per una corretta igiene intima femminile, usare un detergente possibilmente
acido e…>>.
La studentessa XXX alza furiosamente il braccio. E’ la pitocca del
corso, in scamiciato grigio chiaro e dolcevita bianca.
<<Dica>> borbotta il docente, un po’ infastidito dall’interruzione.
<<E’ per questo che consigliano di lavare la cosina con
l’aceto?>>
Io penso al denso e saporoso aceto balsamico della mia Modena e mi
nascondo dietro l’astuccio per non esplodere all’idea del “pegolone” che si
sarebbe formato.
Lorenza neanche mi guarda, tanta paura ha di soccombere all’ilarità che
peraltro avvolge l’intera aula B, scossa da un boato.
Nel rispondere, Melato è ancor più prognato del solito:
<<Personalmente non lo raccomando ma immagino che, diluito, ehm, possa
anche servire>>.
Ma non lo si usava sui capelli, contro i pidocchi?
Nessuno di noi osa più pensare (se mai) alla cosina della studentessa
XXX (poi ribattezzata “Acetaia”).
(Vani) Sforzi poetici - Dal diario di Ghiga, settembre 1987
Ti amo, disse lui a lei.
Ti amo, disse lei a lui.
Poi, non trovando null’altro da dirsi, si lasciarono.
***
Dove il senso?
Poi, non trovando null’altro da dirsi, si lasciarono.
***
Dove il senso?
Se l’orizzonte ha un colpo di pistola in fronte?
***
perché eri nuovo
come una foglia di menta
che spunta,
con quel suo verde semplicemente brillante,
quasi giallo nel sole,
da un muretto a secco,
se vuole.
Ti amavo
perché sapevo farlo,
perché di colpo era la sola cosa che sapessi fare
bene.
Ghiga e Marcella, con altre
compagne di corso, davanti all’Aula B prima di Crevatin
<<E a te piacerebbe avere figli?>> mi chiede una.
<<Sì.>> All’epoca stavo platonicamente con Luciano ma col
pensiero mi proiettavo in avanti. <<Sarei troppo contenta di avere una
bambina mora come il padre.>>
All’epoca mi tingevo di biondo, e pensavo a
me in quei termini, quindi “non-mora”. Marcella, che mi aveva tanto in simpatia, sussurra caritatevolmente a
una vicina: <<E come la mamma>>.
Io sento. <<E come la mamma>> completo a voce alta, neutralizzando
la cattiveria.
Marcella entra in aula con passo pesante.
Crevatin e Ghiga, durante una
lezione di linguistica
<<…e comunque esistono azioni che si possono spiegare SOLAMENTE
con l’ausilio di disegni. Prova ne sia che i nodi vengono resi, passo dopo
passo, con apposite illustrazioni. Domande?>>
Io alzo la mano. <<Senz’altro i disegni semplificano lo
scopo>> dichiaro. <<Ma con un po’ di applicazione non c’è niente
che non si possa spiegare a parole.>>
<<Me lo provi!>> strepita Crevatin strabuzzando gli occhi. <<Avanti.
Lo dimostri!>>
Mi viene male. Non pensavo la prendesse così. Era solo per dire che,
con un po’ di pazienza, è possibile spiegare a parole qualsiasi cosa, anche come
fare un nodo.
<<Mi insegni per esempio ad allacciarmi le scarpe!>>
continua Crevatin, fiutando il sangue. <<Forza!>>
Non mi tiro indietro. Anche perché, a quel punto (mannaggia la mia
dannata boccaccia), non potrei. <<Dunque, calzi la scarpa di destra,
prenda un’estremità del laccio, la ripieghi su se stessa formando una specie di
anello e la tenga in posizione. Poi, ci passi intorno l’altro laccio e…>> Di colpo visualizzo l’azione e mi
incarto. <<Anzi, no>> ricomincio, <<ripieghi entrambi i
lacci, poi li incroci…>>
<<Ecco, lo vede? Aveva torto marcio>> tuona lui,
soddisfatto. <<Non si può. Quanto meno, non si capisce niente. Proprio
come dicevo io!>>
Io taccio, umiliata. Non volevo dire che le parole erano meglio. Solo
che costituivano un’alternativa magari macchinosa ma possibile.
Nessuno interviene.
Un’ora più tardi, a fine lezione, Costantino di Ferrara mi ferma e
dice: <<Avevi ragione tu. Non ti ha lasciata parlare>>.
Gli sono grata, e sorrido.
Ghiga e Simon, coinquilino
temporaneo di via Hermet
Pazzelli aveva subaffittato la camera per un periodo e Simon era il
nostro nuovo coinquilino. Insegnava inglese, aveva una faccia lunga e stretta come
una spagnoletta e non sciacquava i piatti dopo averli insaponati.
Una notte, bussa alla mia porta. Era molto tardi, credo le tre del
mattino.
<<What’s up?>> gli chiedo, riconoscendolo sulla soglia.
Senza dire niente, lui entra e si siede a gambe incrociate sul tappeto
di lana cotta che anni dopo avrebbe divorato Bamba.
<<What’s up?>> torno a chiedergli, stravolta, aggrappandomi
al copriletto bianco con la balza che mi ha cucito la mamma.
<<I feel suicidal>> esordisce lui.
E io sleepy, avrei voluto ribattere.
Invece gli dico: <<Come on. Take it easy>>. E altre
stronzate varie.
Lui resta lì ancora per qualche istante. Evidentemente si era aspettato
altro tipo di consolazione.
Ma io tengo il copriletto come uno scudo stellare, e deve capirlo anche
Simon.
Si alza, esce, richiude la porta
e, finché resta in via Hermet, mai più mi rivolge la parola.
Claudia Manidi a Ghiga e
Manuela
<<… il mio ragazzo (Belaz, NdR). Lo sto aiutando a sistemare la
casa nuova a Bologna. Infatti sono appena andata dall’altra parte della città
per comprare la sottocarta e…>>
<<La sotto che?>> domanda Manuela sgranando gli occhi. E
guarda me.
Ma anche io non so che cosa sia. Aspetto la risposta della Manidi.
<<Lo dice la parola, no?>>
A noi non lo dice, così insistiamo.
Claudia spiega pazientemente. <<E’ una carta che si applica alla
parete per eliminare le asperità dell’intonaco.>>
<<Mi stai dicendo che, prima di tappezzare, incollate un’altra
carta?>> Manuela è incredula.
Lo sono anche io. <<Ma è uno spreco di tempo!>> intervengo.
<<Specie per un alloggio in affitto…>>
<<La sottocarta ci vuole! Pareggia tutto, dice Sandro. Gliela
porto apposta questo fine settimana.>> La Manidi non si fa smontare.
<<Verrà un lavoro bellissimo!>>
Io e Manu non replichiamo. Ma né
io né lei avremmo più dimenticato la famosa “sottocarta” di Sandrino Belaz.
Elisabetta Francica Nava a
Ghiga prima di Elementi di Economia
<<Comunque, per me>> incomincia la Elisabetta, <<una
camera ordinata non è data dal letto fatto.>>
<<No?>> chiedo con blanda curiosità.
<<No.>> E’ sicurissima di questo. <<E nemmeno dagli
abiti piegati o dalla scrivania rassettata.>>
<<Da che cosa allora?>> A quel punto voglio saperlo per
davvero.
<<Dalle scarpe>> risponde prontissima la Francica Nava.
<<Le scarpe?>> ripeto io, basita.
<<Certo. Se le punte sono rivolte in avanti, con la medesima
angolazione, allora la stanza è in ordine. Se invece sono disposte senza
criterio, allora la stanza è in disordine.>>
<<Ah.>> Sbatto le ciglia mentre sento di dovermi accendere
una sigaretta.
Ghiga e due compagne di corso
prima di una cena a cui sono entrambe invitate
<<Che cosa portiamo?>> chiedo io.
<<Ho preso del vino.>>
<<Brava. Quanto ti devo?>>
<<Mille lire.>>
<<Ecco.>> Gliele allungo.
<<Tieni anche le mie>> salta su un’altra amica, pure lei
invitata.
<<Per te sono cinquecento>> risponde chi ha acquistato il
vino.
<<Com’è che Ghiga spende il doppio?>>
<<Tu sei più bassa. Bevi di meno, no?>>
La logica è talmente schiacciante che nessuno dice niente.
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