Sperimentare è crescere, dicono. Uscire dagli schemi ha un effetto rinfrescante. Cambiare può essere fonte di stimoli ed ispirazione. Ma i nostri gusti hanno una memoria che innesca il confronto. Ed è a questo confronto che deve saper reggere ogni rinnovamento per funzionare.
Gli odori risvegliano ricordi lontani. Lo fanno anche i sapori. E la madeleine proustiana è diversa per ognuno di noi. Se ci aspettiamo di sentire un gusto e poi ne sentiamo un altro, ci sentiamo spiazzati. Quanto meno, per me è così.
Come mangiare una pesca che però sa di caco.
Magari non è male. Ma non è una pesca. Quindi, perché chiamarla così?
Vi dico che sto diventando più buona!
Ieri sera, con la Barbara, ho provato questo ristorantino
che non conoscevo. Avete presente quei posti cui passate sempre davanti ma che per
una ragione o per un’altra non vi hanno mai attirati dentro? Ecco, uno di quelli.
Ottimo l’antipasto, sfizioso il secondo. Momento dei dolci… ta-tan! Ce ne elencano cinque ma le nostre orecchie si sono già drizzate al primo: “cheesecake”. L’adoriamo entrambe (persino io che sono più “da salato”), pertanto ordiniamo quella.
Di lì a breve il cameriere ci serve due fette di torta molto
gialla.
<<Ma è gialla>> mi fa notare la Barbara con una
certa ovvietà.
<<Non sembra una cheesecake>> rincaro io
visualizzando con rimpianto l’algido candore di una vera cheesecake con
Philadelphia e tutto.
La Barbara è perplessa. <<Bah, sentiamola.>>
Annuendo, affondo la forchettina in tutto quel giallo.
<<Fa schifo>> dice la Barbara dopo il primo
assaggio.
<<Sì>> ne convengo mentre cerco di deglutire il
boccone del più assurdo “assorbi-saliva” che mai mi sia capitato negli ultimi
tre anni. Per la cronaca, “assorbi-saliva” è la definizione che mia sorella
Francesca Romana applica a tutti quei dolci tipo bensone e torta margherita che
sembrano super-promettenti ma in realtà sono dolci e basta, e che fanno della
tua bocca un deserto di arsura e del tuo animo un pozzo di nostalgia (per gli
ottimi dessert pregressi).
<<Diavolo, avevo così voglia di un dolce
buono….>> brontola la Barbara partendo con la seconda forchettata.
Io scosto il piatto. <<Ma lascialo lì, no?>>
<<È che subisco la malia del dolce>> si difende
lei. <<Anche se questa roba non ha proprio nulla della cheesecake. Guarda
il fondo.>> La sua voce si alza di un’ottava. <<Mica è di
biscotti.>> Adesso il tono è proprio sprezzante.
<<Sembra pasta frolla>> ammetto io. <<Basta.
Rinuncio.>>
Più tardi, alla cassa, dove trovo la titolare (credo), mi
sento in dovere di dire: <<Ottimo tutto, tranne la cheesecake>>.
La tipa mi guarda e, senza battere ciglio, dichiara:
<<Ma quella non è mica una cheesecake. È una torta di ricotta e pasta frolla>>.
<<Quindi perché la chiamate “cheesecake”?>>
chiedo io.
<<Perché ha sbagliato il cameriere. Lo dico sempre, ai
ragazzi, di non chiamarla “cheesecake”!>>
Reclamo evaso. La colpa è del cameriere… un po’ come in quei
gialli dove l’assassino è invariabilmente il maggiordomo.
Capisco l’antifona (la giallona doveva essere opera della
titolare), così taccio.
Paghiamo ed usciamo, con la Barbara che dice: <<Ti
potevi anche risparmiare. Tanto, non si ottiene nulla a protestare>>.
Ha ragione lei, non si ottiene (quasi mai nulla) a
protestare. Io però qualcosa l’ho ottenuto. Mi sono accorta infatti di essere
diventata più buona.
Solo due anni fa avrei detto alla signora: <<Il
cameriere avrà anche sbagliato a nominare la sua “assorbi-saliva” cheesecake,
tuttavia è un fatto che la sua torta di ricotta fa rimpiangere la
segatura!>>.
E solo due anni fa avrei fatto una croce sopra quel posto
(invece ci tornerò perché tante altre cose mi sono piaciute).
E solo due anni fa vi avrei detto il nome del locale!
Invece no.
Sono o non sono più buona? Eddai….!!!