Agosto è per me un
mese di quadrature.
Non vado in vacanza.
Odio l’afa, odio la ressa, odio gli appuntamenti obbligati che associo alla mia
vita precedente. Così me ne sto a Modena, tranquilla.
Chiudo il primo
semestre lavorativo e mi preparo al secondo, che è in realtà più corto, un
quadrimestre che mi porta – esaurita ma quasi sempre viva - al Natale.
Consuntivo eventi, scrivo report, archivio mesi di corrispondenza, riorganizzo
il guardaroba, spolvero (malvolentieri) la libreria, qualche volta dipingo e
generalmente faccio un gran casino dappertutto, illudendomi però di riordinare.
Così ieri, quando ho
riaperto la scatola color Manila che tengo a destra della barbotine con gli iris, certo
non pensavo di rivivere un istante di lucida follia d’antan. Solo di stanare un
po’ di polvere. Ma forse l’ho anche fatto… perché sono uscite queste parole di un lontanissimo luglio.
Come direbbe qualcuno, “scritte appena ieri”.
Il foulard
E per tutte le volte che ho taciuto,
esitando tra le pieghe del foulard a fiori
che tanto detestavi,
avrei dovuto dirti
che non era come pensavi,
che non lo sarebbe stato mai.
Non per qualcosa
che non avevo fatto io
ma per tutto ciò
che non eri né potevi
essere
tu.
Invece non l’ho mai detto,
non ho parlato,
e tu hai scambiato il mio silenzio
per quieta contentezza,
finché
un giorno,
a mia volta,
non ho scambiato io
te.
Col niente
(meraviglioso)
di un nuovo inizio.