sabato 16 luglio 2016

Eravamo 4 amiche...


... sulla terrazza
 
Una delle rare volte in cui Pippo uscì con tutte e 4
(Clelia non si vede perché ci sta fotografando)
 
Di recente mi sono sentita rimproverare che scrivo più sui morti che sui vivi. Ma i morti non sono diversi dai vivi, per me. Essi continuano a esistere come se niente fosse successo. Perché l'amicizia, come l'amore, valica l'assurdità di ogni confine, spaziale e temporale. I morti sono morti solo se cessiamo di parlare di essi.
 
Inoltre, non si sceglie generalmente di morire. Capita.
 
Già è una iella. Perché dovremmo quindi ostracizzare coloro che se ne debbono andare, dimenticandoli?
 
Sappiate che non lo farò.
 
AMICHE D'IMPORTAZIONE
 
Se dovessi raccontare come ti ho conosciuta, non saprei. Senz’altro ci avrà presentate Clelia, perché eri amica sua.
 
Sapevo del tuo lavoro, che ti piaceva, che eccellevi a farlo.
 
Sapevo che eri a posto, che eri sarda e che avevi tanti fratelli e sorelle.
 
All’epoca mi parvero buoni presupposti e semplicemente mi accodai alle altre, Clelia per prima, nell’esserti amica.
 
Ogni tanto si usciva (ma poco, perché a Torino state tutti in casa) e molto più spesso si cenava in terrazza da te.
 
Casa tua mi piaceva perché stava sui tetti, come un nido tra i gelsomini, ed era bianca come non sono mai (state) le mie case.
 
S’entrava dal pianerottolo e ti salutava un George Clooney cartonato… quando George Clooney era ancora figo e si potevano fare dei gran bei party.
 
Poi a destra si apriva il bagnetto che era beige e bianco, delicato. Davanti la camera, rigorosa come io non so essere, e a sinistra voilà la zona giorno.
 
Mi piaceva il pizzo che avevi steso sul divano perché lo impreziosiva senza renderlo lezioso.
 
Mentre avevo in antipatia il sistema di carrucole e fili a cui erano appesi i quadri. Io sono una donna da chiodi e martello ma tu volevi le pareti perfette, e i tuoi dipinti– ricordo una luna tra i rami, declinata in vari colori – pendevano… ma letteralmente.
 
Poi c’era un lungo tavolo rettangolare, severo, solo che non cenavamo mai lì.
 
No, stavamo in terrazza, noi, col divanetto a righe bianche e verdi da una parte e il tavolinetto stretto dall’altra, e davanti i fiori che a volte erano rigogliosi e a volte un po’ fané. Non ho mai capito se tu fossi un pollice verde irrisolto o la negazione totale. Le piante crescevano con te ma avevano sempre una qualche disavventura. O l’irrigatore scioperava o il clima remava contro o la piantagione non era avvenuta nella maniera corretta. C’era sempre qualcosa, eppure la terrazza aveva il suo involucro verde e in quell’involucro – al suo centro - spuntavamo noi.
 
Le ragazze. Che non erano e non sono ragazze da quel bel po’ ma tant’è…
 
In realtà c’era anche un “boy”. Pippo. Ora, Pippo usciva volentieri con noi… purché non fossimo più di tre. Se eravamo quattro, ecco, già non andava più bene. Si sentiva accerchiato, diceva, quando attaccavamo tutte a parlare di uomini (scadenti), diete (mai terminate), disturbi (femminili) e shopping (il mio, l’unica ad avere le mani bucate). Però - fino a tre - ci sopportava e addirittura si divertiva. Lo scherzo tra di noi era che Pippo adorava Clelia, però avrebbe sposato Anna Maria a patto di venire a letto con me. E tu, che ogni volta assistevi a siffatto siparietto, scoppiavi a ridere e noi con te.
 
Perché sì, Pippo o non Pippo, ci facevamo compagnia, ognuna col suo passato che spesso ridiventava presente. Clelia che incredibilmente aveva smesso di fumare. Anna Maria che tra un preventivo e l’altro ti foderava il famoso divanetto a righe. Tu che guardavi il grattacielo crescere e lo trovavi anche bello. E poi venivo io, anche rottamata da ultimo ma col mio immancabile abitino a fiori che chiaramente non piaceva mai a nessuna di voi se non a me.
 
Non siamo mai state veramente assortite ma nella tavolozza di Sorolla c’era posto per tutti i colori, e così è sempre stato per noi e per le nostre cenette.
 
Dove naturalmente non c’era mai niente da mangiare, a sentir te.

 Il frigo era vuoto, la cuoca era manchevole e la cucina in sé non valeva niente.
 
Salvo dopo scoprire che il frigo ospitava un branzino intero (!), che la cuoca sapeva cucinarlo eccome e che il forno, ancorché immeritevole, sapeva fare il suo dovere.
 
E nemmeno mancava mai quel buon vinello bianco che mescevi generosamente.
 
Ma tu eri fatta così.
 
 Eri modesta.
Ora, io conosco tante persone e quelle che frequento con piacere sono tutte molto intelligenti.
 
Sono anche complesse, talora difficili. Se dovessi descriverle, direi che sono speciali, un po’ nevrotiche, spesso contradditorie, se non eccessive.
 
Hanno passione, fantasia e talento, e ne hanno consapevolezza, cosa che le rende più o meno presuntuose.
 
Ma tu, più intelligente di tutti (noi), eri autenticamente modesta.
 
Un ossimoro che mi piaceva avere per amica.
 
L’altro giorno mi hai nominato la bottarga. Sai, piace molto anche a me.
 
Non la mangeremo tanto presto insieme (quanto meno non mi è dato di saperlo) ma volevo dirti che in settimana, di ritorno a Modena, vedrò di farne buona scorta e di organizzare una bella cena in giardino. Ci sarà la bottarga, ci sarà un buon vinello bianco, e nel mio cuore ci sarai anche tu, cara amica d’importazione.
 
I gelsomini saranno sfioriti e la vista senza tetti sarà diversa.
 
Ma non serve la realtà quando c’è la memoria.
 
Non trovi anche tu, Sina?
 

    Io e Clelia, un'amicizia che dura da anni

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